In Cina il Governo centrale blocca il cinema indipendente di Pechino per il secondo anno consecutivo
Non c'è da stupirsi: è la seconda volta che succede. Il Beijing Independent Film Festival non riesce a svolgersi secondo i piani da quando il governo Xi Jinping ha deciso che la produzione di questo festival è troppo... indipendente, appunto. È scattata così sabato 23 agosto la manovra di censura che si è chiusa con il fermo di una delle figure di spicco del panorama critico-artistico cinese: Li Xianting.
La dinamica è la solita, proprio come l'anno scorso e in parte come quello prima: il quartiere viene messo al buio e l'evento è costretto a traslocare in zone appartate. Ci si arrangia come si può, presso le abitazioni degli artisti, spesso in zone periferiche, quasi di campagna, pur di portare a termine la manifestazione; ma in fondo, evitare le zone centrali permette di dare meno nell'occhio. Così, da evento pubblico e centrale, si passa ad un ritrovo tra appassionati, sebbene l'atmosfera informale non abbia impedito l'assegnazione dei premi e il consolidarsi della volontà del gruppo di proseguire i lavori.
Ecco che quindi il team di volti noti dell'ambiente artistico e cinematografico cinese, riprende in mano le fila del Beijing Independent Film Festival anche quest'anno: Fan Rong, Li Xianting, la cui barba bianca è già comparsa sulle maggiori testate internazionali; e Wang Hongwei, che ha collaborato anche con Jia Zhangke.
Tuttavia, non era sufficiente la delocalizzazione e decentralizzazione: l'istituzione ha alzato la voce, ha strillato ancora più forte, e dopo aver esercitato pressioni già a partire dalle pubblicazioni del programma del festival, ben prima dell'apertura ufficiale del 23, si è ripetuta la manovra del taglio dell'elettricità. Poi, la Polizia ha seguito le tracce del piccolo gruppetto di affiatati fan, e ne ha impedito il radunarsi persino nella sperduta Songzhuang, presso la Li Xianting Foundation: registi e appassionati rimasti con un palmo di naso, la sala fatta sgombrare, le strade occupate da finti paesani in borghese ad impedire l'accesso; un biglietto di poche parole appiccicato alla porta, che come nel migliore dei finali di film, se ne svolazza a terra tra la polvere, rattristato pure lui dallo sgombero. Si chiude così l'edizione 2014 di una delle manifestazioni più importanti e longeve (dal 2006) del panorama underground cinese. Senza neppure essere iniziata.
Qualcuno aveva pensato l'anno passato che potesse essere colpa di Hu Jia, un attivista sotto stretta sorveglianza, uno di quelli che per il venticinquennale della strage di Piazza Tian An Men era stato preventivamente messo a riposare in carcere: nel 2013, infatti, a pochi minuti dal suo arrivo in sala, magicamente la corrente elettrica era venuta a mancare. Ma quest'anno, sebbene di Hu Jia neanche l'ombra, non è sembrato che l'istituzione fosse più ammorbidita.
Prima di lasciarli senza una sede, la Polizia aveva suggerito al gruppo di delocalizzarsi ulteriormente, o meglio, più precisamente, cambiare regione: lo Hebei, gli avevano detto, che giusto per la cronaca sta a sud della provincia autonoma di Pechino. Sì, erano stati informalmente invitati a lasciare Pechino, salvo poi rendersi conto che anche a chi li avrebbe ospitati a centinaia di chilometri da casa, era stato intimato di abbandonare la causa.
Da lì, però, è partito il ping pong informativo nei social network, dapprima per il rilascio di Li Xianting trattenuto dalla Polizia e costretto alla firma di un documento che ha sancito l'arresto del festival. E quelle teste cocciute dei filmaker, linfa vitale del festival, che adesso compaiono su tutti i social con le magliette su cui campeggia al centro l'enorme carattere cinese ting, “stop”, che rieccheggia il cognome del collega. Chiedono soprattutto di capire perché ci sia stata questa interruzione, quali le ragioni legali che hanno reso possibile questo ammutolimento di creatività filmica.
In effetti, non hanno tutti i torti: chi si è reso conto della gravità della situazione, sono ben in pochi a livello locale. Chi si è capacitato della profonda ferita che la libertà di espressione artistica della Cina ha accusato, non sono ancora abbastanza. La stampa estera, sempre più attenta ai ritmi dello show business cinese, rimane attratta più facilmente dal main stream: un manipolo di figure che non hanno nulla a che vedere con il cinema della riflessione che quel Beijing Independent Film Festival voleva proiettare. E non c'erano solo emergenti autori cinesi e militanti, ma anche Brillante Mendoza e Lav Diaz in programma.
Si tratti di film che difficilmente favoriscono del visto di censura, che raramente si vedono in sala; che il più delle volte sono autoprodotti, automontati, autosudati e autorischiati. La loro filiera distributiva in patria è unicamente quella dei festival, che sono sempre meno e sempre più osteggiati. A seguire, le sole stanze private dei filmakers. Sono produzioni di una genuina necessità di esprimere e di raccontare anche (e non solo) di quei temi sul confine del proibito, o di usare un linguaggio che non si sposi sempre perfettamente con il perbenismo benpensante e ammesso. Non stupisce che nel fermare l'evento, i censori abbiano raffazzonato tutto il raccoglibile e fatto sparire ogni traccia pulsante del Beijing Independent Film Festival.
Sarà forse la volontà educativa e divulgativa di questa iniziativa ad aver spaventato il Governo (era infatti presente un ricco programma di formazione con ospiti da ogni angolo del mondo); sarà forse quella nascosta coercizione che il nuovo leader del Partito sta portando avanti nel suo Paese; o sarà forse un percorso di marcia indietro iniziato da un po'. È dal 2012, infatti, che uno spettro censorio se ne va in giro per la Cina oscurando tutte quelle manifestazioni culturali che avevano fino a quel momento offerto uno spazio alla produzione esterna al mainstream cinese: prima lo Yunnan Multi Culture Festival, poi il China Independent Film Festival di Nanchino (interrotto un anno e handicappato l'anno seguente).
Non può che essere un cattivo presagio per la prossima edizione del fratello del sud della Cina, il China Independent Film Festival (CIFF), in programma il prossimo autunno a Nanchino. Le prime avvisaglie sono arrivate direttamente da Pechino, e non fanno per nulla ben sperare.
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