"Palio" di Cosima Spender racconta in modo avvincente una delle più famose tradizioni italiane
Come raccontare per immagini il tradizionale e internazionale Palio di Siena? La regista italo-inglese Cosima Spender ci è riuscita con il suo avvincente "Palio", presentato al Tribeca Film Festival
Il Palio di Siena, rievocazione della più antica giostra di cavalli del mondo (il primo testo che documenta il Palio risale al 1238), è una competizione fra le dieci contrade (scelte su un totale di diciassette), ovvero i “rioni”, i quartieri in cui dal 1200 è suddivisa secondo funzioni devozionali, amministrative, militari e ricreative la celeberrima città toscana. La “carriera”, ovvero la corsa vera e propria, si svolge due volte l'anno: la prima il 2 luglio, il Palio in onore della Madonna di Provenzano, e la seconda il 16 agosto, il Palio in onore della Madonna Assunta.
Di corse, giostre, tornei e gare di origini medioevali l'Italia è piena, regione dopo regione: dalla Quintana di Ascoli di Piceno nelle Marche o di Foligno in Umbria alla Giostra del Saracino di Arezzo in Toscana fino al Palio dei Normanni di Piazza Armerina in Sicilia; ma il più famoso, e in assoluto il più internazionale, resta e resterà il Palio di Siena. Perché?
Beh, anzitutto perché è il più rigorosamente regolamentato e, come tale, è preso molto molto molto sul serio. Le norme stabiliscono, per esempio, che la carriera si svolga nella centrale Piazza del Campo; a ogni Palio devono partecipare 10 contrade tra le 17 totali, scelte a sorte e secondo una particolare legislazione che consente la costante rotazione delle partecipanti. Corrono di diritto le 7 contrade che non hanno corso il Palio corrispondente dell'anno precedente, e un mese prima del Palio (l'ultima domenica di maggio per quello di luglio, e la prima domenica dopo il Palio di luglio per quello di agosto) vengono estratte a sorte le 3 contrade mancanti.
Vengono inoltre estratte le altre 7 contrade rimanenti, per stabilire l'ordine di sfilata nel corteo storico; esse parteciperanno di diritto al corrispondente Palio dell'anno successivo. Nonostante siano numerose le attività che si svolgono all'interno di ogni Contrada, l'organizzazione del Palio resta la principale, in quanto quest'ultimo non consiste semplicemente in due corse annuali: ogni volta la "festa" vera e propria si snoda in quattro giorni ricchi di vari appuntamenti, la cui preparazione dura tutto l'anno. Le dirigenze, sin dall'inverno, curano le strategie tenendo i contatti con i fantini e con i proprietari di cavalli. Questi ultimi preparano i soggetti che correranno in piazza, sia facendo correre loro altri palii minori (la cosiddetta provincia) sia portandoli alle corse di addestramento organizzate dal Comune in primavera.
Il film di Cosima Spender, in ogni caso e giustamente, non cerca in alcun modo di rispondere alla domanda; sarebbe infatti impossibile risalire ai motivi, in parte legati alla tradizione in parte al commercio e in ultima parte alle peculiarità socio-antropologiche della città di Siena, di un tale “mito” sovranazionale. Piuttosto, il lavoro della regista, originaria delle zone (il padre, lo scultore Matthew Spender, figlio del poeta inglese Stephen, e la madre, la pittrice Maro Gorky, figlia del pittore armeno Arshile, vivono da quasi quarant'anni in un antico fabbricato colonico della metà del Settecento sulle colline del Chianti, presso Gaiole, e lì Cosima è nata e cresciuta), ma di stanza da anni a Londra, partendo da una base documentaristica certosina e preziosa, prende fin da subito la direzione di un “cinema di finzione del reale” che incuriosisce, spiazza, ammalia o irrita a seconda dei gusti ma, in ogni caso, risulta originale, inedito, potente.
Presentato al Tribeca Film Festival di quest'anno e subito notato dai quotidiani di tutto il mondo, il lungometraggio si concentra non tanto sulla manifestazione in sé ma su chi, quotidianamente visto che a Siena il Palio si corre sì due volte l'anno ma lo si “vive”, per le strade e nelle contrade, tutti i giorni, lo fa, lo agisce, lo corre, lo prepara, lo rende un qualcosa di unico, magico, irripetibile. Mitico se non mitologico, forse.
Ecco dunque che la storia si incentra per lo più sulla rivalità fra Tittìa (Giovanni Atzeni), rampante fantino ventottenne di origine sarde, dunque uno, se non “lo”, “straniero” da guardare di sottecchi all'interno di una città totalmente chiusa e dedita alle secolari tradizioni autoctone come Siena, e Trecciolino (Gigi Bruschelli), suo ex maestro, “vincitore di tredici Palii in sedici anni, maestro di strategie e intrighi, al momento indagato per falso e maltrattamenti sugli animali”.
Sta tutta qui la scommessa, narrativa e drammaturgica, ampiamente vinta da Cosima Spender: raccontare il Palio come fosse un duello da film western; i cavalli, del resto, erano già previsti dalla realtà del copione. Prendere cioè gli elementi oggettivi della realtà (una città, una manifestazione, un pugno di persone, comparse e animali) e trasfigurarli nei dati soggettivi ed emotivi di una grandissima finzione scenica: ecco allora che Siena e la sua mozzafiato Piazza del Campo dove si corre il Palio, fotografate magnificamente da Stuart Bentley con un appeal quasi hollywoodiano (una via di mezzo fra Il Gladiatore e gli spaghetti-western di Sergio Leone), diventano la quinta perfetta per un plot degno della fantasia di uno sceneggiatore che rilegga il Rinascimento dei Borgia e degli intrighi di potere e di palazzo; ecco allora che il torneo stesso fatto di vita, morte, sangue, in una parola emozione, diventi il nucleo centrale attorno al quale costruire una fitta rete di trame e sottotrame, il Sole attorno a cui gravitano orbite di pianeti, astri e buchi neri; ecco allora che i veri fantini e i loro comprimari di vita si trasformano, con la naturalezza propria delle grandi opere di finzione che imitano o riproducono o interpretano il reale, in autentici personaggi di finzione, ora vittime angeliche ora diabolici carnefici.
Perché sì, dietro a tutto e a tutti, il lavoro della Spender riesce in particolare a riprodurre il clima con cui Siena si vive ogni giorno questo “mito” del Palio: un misto non replicabile di fierezza, rabbia, orgoglio, angoscia, sentimenti forti, contrastanti e manichei che se da una parte possono gettare luci inquietanti su chi li vive, agita e tramanda, dall'altra non possono non affascinare e turbare, specie all'estero, vista la loro appassionata e sanguigna autenticità. Come se da questi, e infine dal Palio, dipendesse in fondo la vita, la fortuna e il mistero della città stessa di Siena, e non semmai il contrario.
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